Gaza: il collasso sanitario è dietro l’angolo

Le pause umanitarie promesse da Israele per porre un argine al disastro sanitario non sono state realizzate come previsto. A nove mesi dallo scoppio della guerra la popolazione di Gaza è martoriata dalla malnutrizione, nella totale assenza di servizi igienici, con restrizioni in aumento all’ingresso degli aiuti e l’offensiva a Rafah che non cessa.

Chiara Nencioni

Gaza è “un mondo di devastazione”. Sono queste le parole utilizzate il 20 giugno scorso dai rappresentanti dell’Ufficio per gli affari umanitari delle Nazioni Unite di ritorno dalla Striscia, descrivendo distruzioni diffuse e storie di madri incinte costrette a richiedere parti cesarei pretermine per disperazione e paura.
Dallo scoppio della guerra, il 7 ottobre del 2023, dopo gli attacchi terroristici di Hamas in Israele, circa 4.800 pazienti sono stati evacuati da Gaza per necessità mediche, la maggior parte in Egitto e in altre parti della regione. Ma “almeno altri 10.000 pazienti hanno ora bisogno di cure specialistiche al di fuori dell’enclave”, ha affermato il dottor Rik Peeperkorn dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), “metà delle quali legate alla guerra e metà a quelle che chiamiamo malattie croniche: cancro, malattie cardiovascolari e altre malattie non trasmissibili, compresi gravi casi di salute mentale”.
Prima della guerra circa 50-100 evacuazioni mediche avvenivano regolarmente da Gaza verso gli ospedali della Cisgiordania, ha spiegato il funzionario dell’Oms, lanciando un appello per la riapertura del valico di frontiera di Rafah, nel sud dell‘enclave, o per l’utilizzo del vicino valico di Kerem Shalom.
“Questa pausa umanitaria non ha avuto reali riscontri; non c’è stato un solo giorno in cui abbiamo potuto dire che avremmo approfittato di questa pausa umanitaria per portare da Kerem Shalom i rifornimenti che ci aspettavano”, ha detto il dottor Thanos Gargavanis, chirurgo traumatologo dell’Oms e responsabile delle emergenze, sottolineando che l’impatto della chiusura del valico di Rafah, l’aumento dei combattimenti e il continuo sfollamento forzato degli abitanti palestinesi fanno sì che ciò che viene realizzato a Gaza “è solo una frazione di ciò che dovremmo fare”. E ha aggiunto: “So che lo stiamo ripetendo più e più volte. Tuttavia, tutti devono capire che per ogni lavoratore internazionale che sta entrando nella Striscia di Gaza, il processo è lungo, rischioso e richiede un’enorme quantità di risorse. In questo momento, attraverso Kerem Shalom, dobbiamo guidare noi stessi i veicoli blindati per assicurarci che la comunità internazionale continui ad entrare e ad uscire dalla Striscia di Gaza. Questo è solo uno dei principali problemi che stiamo affrontando”.
Il dottor Peeperkorn ha sottolineato la quantità “sorprendente” di casi di traumi, amputazioni e pazienti con condizioni di salute croniche che devono essere evacuati urgentemente fuori dall’enclave, assediata e bombardata, per essere curati. Evidenziando gli “enormi” problemi di accesso agli ultimi ospedali funzionanti di Gaza, il dottor Peeperkorn ha inoltre riferito che gli operatori sanitari, gli ostetrici e i medici dell’enclave trattano oggi livelli molto più alti di neonati con basso peso alla nascita rispetto a prima della guerra. “Vediamo molti bambini pretermine e con basso peso alla nascita e questo accade spesso in tempi di conflitto, di guerra, ma abbiamo anche avuto storie in cui le donne, quando avevano accesso all’ospedale, chiedevano un cesareo anticipato per assicurarsi di partorire e di partorire in sicurezza, perché avevano paura che non sarebbero state in grado di accedere all’ospedale più tardi, a causa della situazione di sicurezza instabile e della situazione in costante cambiamento”. Oltre ai rischi del parto, per le madri e i loro bambini “non c’è quasi nessuna assistenza prenatale”. “Circa 3.000 bambini malnutriti rischiano di morire sotto gli occhi delle loro famiglie a Gaza”, ha dichiarato alla seduta dalle Nazioni Unite sabato 21 James Elder, portavoce Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (Unicef). Parlando da Gaza Elder ha descritto un panorama disastroso, con particolare attenzione alla malnutrizione infantile e all’impatto devastante del conflitto in corso, tra crescenti preoccupazioni di carestia.
“La distruzione delle strutture sanitarie, compresi i centri specializzati che sono fondamentali per evitare la malnutrizione, ha ostacolato gravemente gli sforzi per affrontare la grave fame tra i bambini, in un contesto di bombardamenti e attacchi costanti e di mancanza “letale” di accesso ai beni di prima necessità, che hanno già lasciato i bambini fisicamente e psicologicamente segnati”, ha scritto in un Tweet.
Alla seduta delle Nazioni Unite Elder ha così parlato: “Se ci concentriamo sulla situazione nutrizionale, negli ultimi mesi i colleghi e i partner hanno compiuto uno sforzo immenso per creare centri di stabilizzazione per affrontare la malnutrizione. Quando il mese scorso è cominciata la massiccia offensiva a Rafah, costringendo un altro milione di persone che sicuramente si erano già spostate tre, quattro o cinque volte, abbiamo perso quei centri di stabilizzazione. Questo è pericoloso in un luogo dove sappiamo che c’è una mancanza letale di acqua e una pericolosa carenza di servizi igienici. Ora si tratta di portare i centri di stabilizzazione e i punti di nutrizione in quelli che sono i campi tendati, in modo da poter identificare le madri che hanno disperatamente bisogno di sostegno”. Questo è l’aspetto nutrizionale, ma è solo uno degli aspetti in cui i bambini sono sotto attacco, sottolinea Elder. “Sono attaccati sul campo dalla mancanza di nutrizione, dalla mancanza di servizi igienici, dalle consistenti restrizioni agli aiuti e ancora di più dal cielo. Non c’è nulla di normale nelle ultime tre notti di bombardamenti incessanti. Sicuramente i droni hanno fatto sì che nessun bambino potesse dormire. Di certo non c’è nulla di normale nelle orribili ferite dei bambini che ho visto nell’ospedale di Al Aqsa, nel centro di Gaza. Ho parlato con famiglie di bambini che alle cinque del mattino dormivano al terzo piano e all’improvviso, in un attimo, si sono ritrovati sotto le macerie. Madri e figli sono stati uccisi o feriti o i bambini hanno perso la madre. Questa situazione si protrae da 250 giorni”. Si sofferma poi sulla drammatica mancanza di luoghi dove poter prestare soccorso al numero di feriti in costante crescita “Ora c’è solo una manciata di ospedali e centri sanitari parzialmente funzionanti rispetto ai 36 precedenti. L’ospedale di Al-Aqsa ha subito il maggior afflusso di persone dopo l’operazione militare di sabato 21. Ed era già stracolmo quando l’ho visitato martedì, c’erano decine di persone con brutali ferite di guerra sul pavimento, sui materassi, ovunque. Avevano bisogno di cure. C’erano bambini con ferite da esplosione, con ustioni, con ferite terribili. Ricordiamo che l’esplosione di una bomba distrugge qualsiasi cosa e fa cose terribili al corpo di un bambino. L’ospedale di Nassar, che era il secondo ospedale più grande, è stato sventrato all’interno. Abbiamo assistito a una devastazione totale del sistema sanitario, che si regge anch’esso a un filo. Ora solo due dei tre centri specializzati per la stabilizzazione nutrizionale a Gaza rimangono aperti. L’Unicef ha in programma l’apertura di un altro centro di stabilizzazione a Rafah e di altri centri più piccoli dove si facciano test, si somministrino alimenti terapeutici alle madri e si faccia opera di sensibilizzazione nella comunità per assicurarsi che la gente venga ai centri. La voce si diffonde molto rapidamente”.
Ma la determinazione del personale umanitario nel portare aiuto si scontra con l’altrettanto forte determinazione del governo di Netanyahu di continuare la devastazione sistemica. “Le nostre operazioni – riferisce Elder all’Onu – come quelle della consegna dei rifornimenti, continuano a essere interrotte. Un esempio è stato mercoledì 19. Avevamo un camion di forniture mediche e per la malnutrizione per 10.000 bambini. Avevamo tutte le autorizzazioni, il che è normale. Eppure, quando ci siamo mossi mercoledì, per un viaggio di andata e ritorno di 40 chilometri ci sono volute 13 ore, di cui 8 ore fermi ai posti di blocco o nelle vicinanze. Ci sono state lunghe discussioni sul fatto che il mezzo su cui viaggiavamo fosse un camion o un furgone. Alla fine quel camion con scorte di cibo e medicinali per 10.000 bambini è stato respinto. Non siamo riusciti a farlo passare. Ora lo riprenderemo e faremo di nuovo quel viaggio, ricordando che è così precario e pericoloso cercare di consegnare gli aiuti nella Striscia di Gaza. In questi otto mesi di guerra sono stati uccisi più colleghi delle Nazioni Unite che in qualsiasi altro conflitto”.
La costante violazione da parte dello Stato di Israele del diritto internazionale umanitario emerge chiaramente da queste parole del portavoce dell’Unicef “Mentre aspettavamo per ore vicino a uno di quei posti di blocco chiamati “holding point”, osservavo i pescatori. Senza dubbio avevano precedenti professioni come commercialisti, avvocati e altri lavori, ma ora tutti i lavori e le economie sono stati colpiti. Qui stavano pescando usando una sola rete, lanciandola e cercando di prendere qualche pesce per la loro famiglia. All’improvviso è arrivato un carro armato e subito dopo hanno sparato dalla postazione intorno al checkpoint militare israeliano e due pescatori sono stati colpiti. Non sapevamo se fossero morti. Un collega paramedico dell’Oms ha contattato via radio le autorità israeliane per chiedere se potevamo fornire assistenza medica a quelle persone. La risposta è stata negata. Le cure sono state negate. Alla fine, mezz’ora dopo, altri pescatori sono tornati con dei sacchi per cadaveri e abbiamo scoperto che i due uomini erano effettivamente morti. Uno era stato colpito alla schiena e l’altro, che aveva ancora la rete da pesca intorno al piede, era stato colpito al collo”.
L’ufficio di coordinamento degli aiuti delle Nazioni Unite (Ocha), ha ascoltato le dichiarazioni dei tre medici nella seduta di sabato, ha fatto eco alle loro preoccupazioni e ha insistito sulla responsabilità di Israele, in base al diritto umanitario internazionale, in quanto potenza occupante, di garantire che i rifornimenti, compreso il carburante, gli aiuti umanitari e di soccorso arrivino a chi ne ha più bisogno.
L’agenzia sanitaria delle Nazioni Unite ha anche respinto le affermazioni delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) secondo cui le pause nei combattimenti annunciate di recente avrebbero portato a un miglioramento della situazione umanitaria.
“La popolazione è stata quasi completamente espropriata dei mezzi e delle capacità per garantire la sicurezza alimentare, l’alloggio, la salute e il sostentamento”, ha dichiarato Maryse Guimond, rappresentante speciale delle Nazioni Unite per i Territori Palestinesi Occupati.
Parlando con i giornalisti a Ginevra via video, Guimond ha descritto di aver visto persone “stipate” in rifugi di fortuna e prive anche dei beni di prima necessità. In una scuola trasformata in rifugio gestito dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi ci sono solo 25 bagni per le 14.000 persone che cercano sicurezza all’interno del complesso e per le altre 59.000 accampate all’esterno.
Allo stesso tempo, c’è l’immenso spirito delle persone, dei palestinesi di Gaza, la loro resilienza.
Il messaggio deve essere, come abbiamo sentito fin dall’inizio dal Segretario Generale António Guterresun cessate il fuoco per riportare a casa gli ostaggi e fermare i bombardamenti.
Questa è ed è stata una guerra contro i bambini. Non lo diciamo con leggerezza. Non lo diciamo come titolo di giornale. Lo diciamo sulla base di prove, sulla base dell’impatto sproporzionato che questa guerra sta avendo sui bambini e sulle bambine. Una madre ha detto: “Potrei andare a letto se ci fosse un cessate il fuoco e promettere a mia figlia che si sveglierà domani mattina”.
Il cessate il fuoco è l’unica soluzione. Un cessate il fuoco permette ai bambini di andare a scuola, e ai responsabili delle agenzie umanitarie di portare gli aiuti in modo sicuro e agli ostaggi di tornare a casa. Le parti che hanno il potere di decidere il cessate il fuoco devono avere a che fare con le sofferenze della popolazione. Sembra che ciò non stia accadendo.
CREDITI FOTO: Displaced Palestinians line up for drinking water in Khan Yunis, 3 luglio 2024, ANSA / HAITHAM IMAD



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