La sfida di Sánchez: una rigenerazione democratica contro il golpismo di destra

Per qualche giorno la Spagna è rimasta con il fiato sospeso: l’unico governo di sinistra dell’Ue pareva avere i giorni contati. In seguito a delle accuse di corruzione a danno della moglie, tecnica consolidata nella destra spagnola per screditare gli avversari politici, il premier socialista Pedro Sánchez si è preso cinque giorni per riflettere su eventuali dimissioni. Al termine di questa pausa, il premier è tornato rilanciando un appello alla Spagna e all’Europa per attivarsi contro il deterioramento della democrazia. Passerà dalle parole ai fatti per arginare la piaga dell’estrema destra antidemocratica?

Steven Forti

La Spagna ha vissuto giorni convulsi. L’inizio della crisi è stato inaspettato e inedito: la lettera del 24 aprile in cui il premier socialista Pedro Sánchez comunicava alla cittadinanza che si sarebbe preso cinque giorni per riflettere se dimettersi a causa della “macchina del fango” contro sua moglie, Begoña Gómez, per un possibile caso di corruzione. Ma inedita e inaspettata è stata anche la risoluzione della crisi: una dichiarazione istituzionale dello stesso Sánchez in cui, lunedì scorso, ha ribadito la sua volontà di continuare alla guida del governo, chiedendo una mobilitazione della cittadinanza per una rigenerazione democratica. In quei cinque giorni di impasse, il paese è rimasto in bilico con la percezione generalizzata che l’unico vero governo di sinistra in Europa avrebbe avuto i giorni contati. Una parte della società si è mobilitata nelle piazze. Numerosi sono stati i manifesti di appoggio a Sánchez di intellettuali, sindacati e membri della società civile.
Non è facile cogliere le ragioni di questa strana crisi, né prevederne i possibili sviluppi. Dopo aver evitato contro tutti i pronostici una vittoria delle destre nelle elezioni del luglio scorso, a novembre Sánchez è riuscito a forgiare una maggioranza eterogenea che, oltre alla sinistra di Sumar, ha contato con l’appoggio degli indipendentisti catalani e baschi. Seppur i numeri in parlamento sono risicatissimi, l’esecutivo non solo è riuscito ad approvare la legge di amnistia, chiave di volta di tutta la legislatura, ma ha resistito anche al tentativo di spallata di Vox e del Partido Popular (Pp), i quali, seguendo il manuale trumpista, hanno accarezzato il golpismo, arrivando ad assediare per giorni la sede del Partido Socialista Obrero Español (Psoe) con la partecipazione attiva di gruppi neofalangisti e neonazisti. A febbraio le elezioni in Galizia, feudo dei popolari, non sono andate bene per Sánchez, mentre il buon risultato di quelle di aprile nei Paesi Baschi ha permesso ai socialisti di continuare a essere il junior partner della coalizione di governo insieme ai nazionalisti baschi. Se è vero che uno scandalo di corruzione – il caso Koldo, sotto indagine ora dalla magistratura – ha messo in crisi il Psoe, è anche vero che l’economia spagnola va meglio della media europea (+2,5% nel 2023; +0,7% nel primo trimestre del 2024), l’occupazione è ai massimi storici e l’inflazione è diminuita considerevolmente. In sintesi Sánchez, che sta giocando anche un importante ruolo internazionale con le denunce contro Israele per il genocidio a Gaza e la volontà di riconoscere quanto prima lo Stato palestinese, si trova nel mezzo di una congiuntura cruciale segnata dalle elezioni catalane (12 maggio) e da quelle europee (9 giugno). Perché dunque valutare improvvisamene le dimissioni, prendendo tutti alla sprovvista, incluso il suo partito, e mostrare debolezza, caratteristica che non si addice a un leader politico la cui capacità di resistenza è riconosciuta anche dagli avversari?
C’è chi sostiene che si sia trattato solo di tatticismo elettorale, ossia di una mossa cinica di Sánchez per recuperare iniziativa politica. Personalmente, credo che il premier socialista sia stato sincero nella sua lettera rivolta alla cittadinanza. Il suo è stato un grido di allarme di fronte alla strategia golpista della destra contro un esecutivo legittimamente eletto e, allo stesso tempo, un appello a tutta la cittadinanza affinché prendesse coscienza del deterioramento della democrazia e si mobilitasse per difenderla e rigenerarla. Un messaggio che è, in realtà, internazionale. Ci siamo già dimenticati del golpe parlamentare contra Dilma Rousseff nel 2016 e della campagna di lawfare che portò all’incarceramento di Lula, permettendo la vittoria di Bolsonaro nel 2018? Qualcosa di simile è successo anche in Portogallo pochi mesi fa con le dimissioni del socialista António Costa, dopo una denuncia di corruzione archiviata rapidamente. E nemmeno in Spagna queste strategie antidemocratiche sono nuove. Tutt’altro. Basti pensare alle operazioni della cosiddetta “polizia patriottica” durante il governo di Rajoy contro Podemos e gli indipendentisti catalani. O le decine di denunce false contro Ada Colau. O, ancora, il caso di Mónica Oltra, leader dei valenzani di Compromís, costretta alle dimissioni nel 2022 per una campagna basata sul nulla. Vale la pena andare a rileggersi le parole che Oltra pronunciò quel giorno: “Ci stanno fulminando uno a uno con denunce false. Il giorno in cui vorrete reagire sarete già stati fulminati anche a voi”.
Forse lo ha fatto tardi, è vero, ma Sánchez ha posto ora la questione al centro del dibattito pubblico. Ha fatto, in poche parole, pedagogia politica, mostrando la necessità di “una democrazia del rispetto di fronte a una democrazia dell’odio”, nelle parole dell’ex premier socialista José Luis Rodríguez Zapatero. Non solo l’estrema destra è una minaccia reale per i valori democratici in tutto il mondo, ma persino la destra europea mainstream, teoricamente democratica e liberale, si è trumpizzata e ha adottato strategie tipiche della destra latinoamericana. Il PP spagnolo ne è l’esempio. Non accetta di aver perso le elezioni e utilizza qualunque mezzo, lecito e non, per far cadere l’esecutivo, cercando di delegittimarlo.  Lo fa appoggiandosi a una rete di media che diffondono fake news e disinformazione, associazioni di estrema destra – come Manos Limpias, lo pseudo-sindacato che ha presentato la denuncia contro Gómez – e settori “deviati” dello Stato, siano essi forze dell’ordine o pezzi della magistratura.
C’è chi dice che quella di Sánchez sia stata una mossa macroniana e personalista. Può essere. Tutto dipenderà, in ogni caso, da quello che succederà nei prossimi mesi. Nulla di positivo ci si può aspettare da questa destra che ha risposto all’appello di Sánchez ridicolizzando il suo grido di allarme e tacciandolo di autoritario, fino a compararlo con il Venezuela, l’Ungheria di Orbán e il franchismo. Da che pulpito! Risponderà però la cittadinanza al suo appello per una profonda rigenerazione democratica? Ci sarà una mobilitazione collettiva con l’obiettivo di avviare un dibattito serio e partecipato per evitare un processo imparabile di polarizzazione estrema e degradazione delle nostre democrazie che si stanno convertendo in autocrazie elettorali? E Sánchez saprà passare dalle parole ai fatti, proponendo delle misure concrete? Questo è il quid della questione.
CREDITI FOTO: Sanchez participates in a PSC rally in Sant Boi de Llobregat (Barcelona), 1 may 2024, ANSA ZUMAPRESS / Kike RincóN



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