Un referendum per abrogare il Rosatellum

Quattro i quesiti referendari depositati in Corte di Cassazione il 23 aprile che intervengono sugli aspetti più critici della legge elettorale in vigore, il Rosatellum. L’obiettivo è liberare gli elettori dalle liste bloccate dai partiti, eliminare la soglia di sbarramento per un maggiore pluralismo, costituire un sistema di raccolta firme elettorali più democratico e vietare le pluricandidature. L’attuale legge elettorale, combinata con la riforma del premierato, rappresenta una reale minaccia per la democrazia.

Alessandra Testa

Quasi nessuno ne parla ma da qualche giorno è partita la raccolta firme, con banchetti in tutta Italia e una piattaforma digitale online, per l’abrogazione parziale del Rosatellum, la legge elettorale approvata nel 2017 con i voti favorevoli di Partito Democratico, Forza Italia, Lega Nord, Alternativa Popolare, Alleanza Liberal popolare-Autonomie e altri partiti minori. Al governo c’era Paolo Gentiloni, successore di Matteo Renzi. Parallelamente alla raccolta firme per l’indizione del referendum, così come previsto dall’articolo 75 della Costituzione, è stata depositata una Lip, una legge di iniziativa popolare per introdurre la preferenza nei collegi plurinominali di Camera dei deputati e Senato e restituire – sottolineano i proponenti – il diritto di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento. Protagonista delle due iniziative è il Co.Re.Ra, acronimo di comitato referendario per la rappresentanza, costituitosi lo scorso 17 aprile e figlio delle idee di Felice Carlo Besostri, senatore del Pd dal 1996 al 2001 recentemente scomparso che fu anima di numerosi ricorsi, tra cui quelli che hanno portato all’abrogazione parziale delle due leggi elettorali Porcellum e Italicum. Il defunto senatore è stato citato anche dalla senatrice a vita Liliana Segre nel suo recente discorso a Palazzo Madama contro il ddl che vorrebbe introdurre il premierato. Obiettivo della raccolta firme e della Lip è fare in modo che alle prossime elezioni politiche si voti con un sistema elettorale che rispetti la Costituzione e in particolare l’articolo 48 («…il voto è personale ed eguale, libero e segreto»), visto che ancora non è stato possibile accedere alla Corte costituzionale per dimostrare l’incostituzionalità dell’attuale Rosatellum, al pari delle precedenti famigerate leggi, l’Italicum e il Porcellum. Il comitato ha una composizione molto trasversale: è formato da cittadini di diversa estrazione sociale, formazione culturale e orientamento politico, residenti in tutte le regioni italiane. Lo presiede Elisabetta Trenta, ministro della Difesa italiano dal giugno 2018 al settembre 2019. Tre i vicepresidenti: Raffaele Bonanni, ai più noto per essere stato segretario generale della Cisl; Enzo Palumbo, che è stato membro del Consiglio superiore della magistratura e ha già promosso e patrocinato nel 2011 l’abrogazione del Porcellum e nel 2016 l’incostituzionalità dell’Italicum; e Sergio Bagnasco, studioso della Costituzione e dei sistemi elettorali. Presidente onorario è Giorgio Benvenuto, economista con una lunga militanza nella Uil per cui è stato segretario generale confederale e della categoria dei metalmeccanici. Tra le adesioni eccellenti al comitato spicca quella di Marco Cappato, ex eurodeputato e tesoriere dell’associazione Luca Coscioni.
Archiviati i ballottaggi delle elezioni comunali svoltisi il 23 e il 24 giugno, e mentre la Cgil ha superato il tetto delle 500 mila firme per il suo referendum sul lavoro e c’è già chi pensa anche a un referendum per abrogare l’autonomia differenziata, il neonato comitato sta facendo i conti con la burocrazia, quasi ostruzionistica, e la carenza di risorse a disposizione.
Quattro i quesiti referendari che intervengono sugli aspetti più critici della normativa in   vigore e che sono stati depositati in Corte di Cassazione il 23 aprile. Primo quesito: abolizione del voto congiunto obbligatorio per restituire la libertà di scelta tra candidato   uninominale e lista proporzionale; questo consentirebbe di eleggere direttamente i candidati nei collegi uninominali che quindi non sarebbero imposti dalle segreterie di partito. Oggi,   infatti, il candidato uninominale è eletto grazie ai voti dati alle liste collegate. Inoltre, si vorrebbe abolire la ripartizione sulle liste plurinominali del voto dato al solo candidato  uninominale e viceversa. In concreto, oggi l’elettore che non apprezza il candidato uninominale collegato al partito preferito può solo cambiare partito per non votare quel  candidato sgradito. Secondo quesito: abolizione delle soglie di sbarramento. Per ridurre la notevole dispersione  di voti e garantire maggiore pluralismo. Numeri alla mano, alle ultime elezioni politiche circa 4 milioni di voti validi non hanno partecipato alla ripartizione dei seggi. Ciò ha determinato la formazione di coalizioni forzate per il solo timore di non farcela da soli a superare il 3% o la nascita di partitini privi di effettivo consenso che però si coalizzano con grandi partiti, ottenendo comunque propri rappresentanti. Così queste soglie di sbarramento in realtà determinano la riduzione del pluralismo perché restano fuori dal Parlamento le forze politiche che non si coalizzano e dall’altra parte la frammentazione delle forze politiche presenti in Parlamento; infatti, oggi abbiamo in Parlamento ben venti formazioni partitiche, livello mai raggiunto nella storia repubblicana.
Terzo quesito: abolizione di ogni privilegio nella raccolta delle firme per la presentazione dei candidati affinché tutte le liste alla partenza siano in condizione di parità nella competizione elettorale. L’ingiusto privilegio concesso sinora ai partiti già presenti in Parlamento mette in condizioni di svantaggio le nuove aggregazioni politiche: queste formazioni hanno, infatti, meno tempo per scegliere i candidati dovendo poi raccogliere le firme a sostegno delle candidature. Quarto ed ultimo quesito, abolizione delle pluri-candidature: per ridurre il potere degli apparati di partito nel predeterminare la composizione del Parlamento e avere preferibilmente candidati che si presentano nel proprio collegio naturale.
“Il Rosatellum – spiega Bagnasco – replica uno degli aspetti più truci del Porcellum: il fatto che i rappresentanti parlamentari siano scelti esclusivamente dagli apparati di partito e l’elettore può solo contribuire a decidere quanti ‘soldatini’ debba avere ogni partito, ma non quali. A differenza del Porcellum, la legge elettorale che porta il nome del suo relatore Ettore Rosato (oggi vicesegretario di Azione, ndr) non rispetta neanche il principio del voto al partito”. “Mentre con il Porcellum – specifica il vicepresidente del comitato – sceglievi un partito e il tuo voto andava al partito che avevi scelto; con il Rosatellum voti un partito e rischi che quel voto vada ad un’altra formazione”. Esempio: alle ultime elezioni politiche del 2022 +Europa non ha raggiunto il 3%. Che fine hanno fatto quei voti? “Sono andati a rafforzare il Pd e Alleanza Verdi Sinistra. In pratica – prosegue il rappresentante del comitato –, quando un partito è coalizzato con altri e supera l’1%, ma non il 3%, quei voti vengono distribuiti agli altri partiti della coalizione, purché questi partiti abbiano superato la percentuale del 3%”. E ancora: “Se ho votato Forza Italia perché mi sento un moderato, nel 70% dei casi – precisa Bagnasco – ho votato anche per un candidato di Fratelli d’Italia o della Lega perché al collegio uninominale c’era un candidato di Fratelli d’Italia o della Lega e il mio voto rivolto esclusivamente alla lista di Forza Italia è stato trasferito al candidato uninominale”. “Sembrerebbero coalizioni, ma non lo sono: la legge elettorale in vigore prevede che ogni partito depositi il proprio programma e indichi il proprio capo politico. Dunque, le alleanze – fa notare –, con tale trasferimento di voti, piuttosto si profilano come un cartello elettorale con la finalità di prevalere sugli altri partiti e avere la maggioranza in Parlamento”. “Il problema del Rosatellum, insomma, è che replica la stessa logica del Porcellum con tutti gli eletti di fatto nominati dai partiti; è una sorta di organismo geneticamente modificato, e peggiorato, del Porcellum, tra l’altro già considerato parzialmente incostituzionale nel 2014”. I tre ottavi dei parlamentari sono eletti col sistema uninominale però, è la critica che si potrebbe avanzare. “No – è la pronta replica di Bagnasco –, in realtà il seggio uninominale è un pacco dono che viene dato in regalo alla   lista, o alla coalizione di liste, che in un determinato collegio ha avuto la maggioranza relativa dei voti. E cioè: chi ha avuto la maggioranza relativa dei voti riceve in regalo il   candidato uninominale perché il candidato uninominale viene eletto grazie al fatto che i voti dati alle liste che sostengono quel candidato si trasferiscono sul candidato stesso”.  Tecnicamente, il legislatore ha previsto due corsie elettorali ma nei fatti c’è una sola corsia: dovremmo avere tre ottavi dei parlamentari eletti col maggioritario e cinque ottavi col  proporzionale, ma i candidati uninominali non sono eletti col sistema maggioritario di collegio con voto diretto; “ma rappresentano un premio dato a chi nella quota proporzionale   prende più voti”. Ci sono così nei collegi uninominali candidati che risultano eletti pur avendo ottenuto meno voti dei loro competitor diretti. E qui Bagnasco cita ancora il caso di   +Europa uscita sconfitta ai seggi del 2022: “Nel suo collegio di Roma-Centro Emma Bonino aveva preso il doppio dei voti della sua contendente del centrodestra Lavinia  Mennuni – ricorda –, ma non è stata eletta mentre Mennuni sì perché le liste che la  sostenevano hanno avuto la maggioranza relativa”. “Ergo – rafforza Bagnasco –: il   Rosatellum impedisce all’elettore ogni possibilità di scegliere il proprio rappresentante e,  contemporaneamente, limita la scelta del partito poiché manipola il voto che, di fatto, viene dato ad un partito e può finire ad un altro”. E la Lip? “Il referendum abrogativo ha dei limiti   – motiva Bagnasco – : noi possiamo solo togliere qualcosa dalla legge senza poter aggiungere nulla. Con il referendum sganceremmo il collegio uninominale dalla lista   plurinominale proporzionale, dando la possibilità di scegliere almeno i candidati uninominali e, dunque, almeno i tre ottavi dei parlamentari sarebbero eletti direttamente  dagli elettori. Rimangono, però, gli altri cinque ottavi: non possiamo introdurre con il referendum la preferenza e quindi lo facciamo con la legge di iniziativa popolare, che, introducendo la preferenza, darebbe anche nel proporzionale la possibilità di scegliere il candidato preferito”. Un caso concreto? “Vuoi votare un determinato partito, ma preferisci   il secondo candidato in lista al primo? Ora non puoi sceglierlo davvero, puoi solo sperare che ce la faccia ad essere votato. Con l’introduzione della preferenza, invece, il tuo voto andrebbe direttamente a quel canditato”. Referendum e Lip possono, quindi, convivere e vanno a completarsi tramite due strade parallele: nel primo caso il corpo elettorale si riappropria della sua azione legislativa prevista dalla Costituzione “e torna ad avere un ruolo nell’agone politico”; nel secondo sarà il Parlamento a decidere secondo l’iter di approvazione delle due Camere. Ora, in conclusione, la domanda è: vista l’attuale accelerazione in Parlamento, cosa accadrebbe se dovesse essere approvata la riforma di Giorgia Meloni sul premierato? Bagnasco risponde in maniera decisamente tranchant: “Saremo davanti al paradosso che potremo scegliere direttamente il premier, ma non i parlamentari dei partiti che sosteniamo. Meloni è furba: riesce a presentarsi come una persona democratica, accusando gli altri di aver privato gli elettori della possibilità di scegliere i parlamentari mentre lei che è democratica ci fa scegliere addirittura il primo ministro”. “Purtroppo – e qui Bagnasco chiude – ormai gli elettori si sono abituati ad andare alle urne non per scegliere i propri rappresentanti, ma per scegliere chi deve governare. Se passa il premierato, insomma, ci sarà una nuova legge elettorale, che potrebbe essere il Rosatellum con in più un premio di maggioranza. Quindi, avremmo l’impossibilità di scegliere fra i candidati e in più ci sarebbe un premio di maggioranza che assicura al capo del governo la maggioranza assoluta del Parlamento. Ne risulterebbe un Parlamento completamente assoggettato al capo del partito, che ovviamente è anche il capo del governo. Avremmo, dunque, l’illusione di averlo scelto noi, quando in realtà non avremmo scelto proprio niente. La politica dovrebbe appartenere ai cittadini e, al contrario anche per questa sensazione di non contare a causa di una partitocrazia troppo spinta, il disinteresse verso la politica dilaga e il potere governa quasi indisturbato. Lo diceva già Enrico Berlinguer: “I partiti hanno occupato le istituzioni”. E grazie alle ultime leggi elettorali l’occupazione è diventata totalizzante. Per questo dobbiamo ‘liberare’ le istituzioni ed esercitare il nostro diritto di scelta”.
Info e raccolta firme digitali su: Io voglio scegliere | Referendum
CREDITI FOTO: L.elettorale: passa al Senato con 214 sì,  26 ott 2017,  ANSA / ANGELO CARCONI



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