Alchimia: dov’è il confine tra scienza e pseudo-scienza?

“Bevitori di mercurio. Storie di alchimia da Lavoisier a oggi” di Leonardo Anatrini, edito da Carocci, illustra dettagliatamente il complesso dibattito scientifico, storico e filosofico sviluppatosi in un periodo che va dalla rivoluzione chimica della seconda metà del Settecento fino ai giorni nostri. Da tale dibattito emerge chiaramente che l’alchimia, contrariamente a quello che si pensava, non è affatto scomparsa, ma è sopravvissuta sia pure modificandosi e assumendo differenti fisionomie. Il volume di Anatrini fornisce un’utile e rigorosa disamina storica che analizza il sempre labile confine tra scienza e pseudoscienza. Il suo maggior merito è quello di mostrarci la natura prettamente umana dell’impresa scientifica con i suoi inevitabili sbandamenti, le sue correzioni e i suoi ripensamenti, sempre in bilico tra la razionalità e l’emotività che caratterizzano la mente umana.

Silvano Fuso

Il noto psichiatra Vittorino Andreoli, nel suo libro La testa piena di droga (Rizzoli, 2011) scrive:

“Vi sono poi i bevitori di mercurio. Questa è una pratica comune presso i Lituani, che a dosi crescenti arrivano a bere in un’unica dose fino a 30 grammi di mercurio metallico. Il metallo circola nell’intestino e, se viene emulsionato in fini gocce, con l’aumento della tensione superficiale che ne consegue, si ha liberazione di vapori di mercurio che l’organismo assorbe: tali vapori sono ritenuti responsabili dell’effetto tossico che comprende sintomi centrali come insonnia, depressione e talvolta allucinazione. Il mercurio assunto viene quindi eliminato con le feci. I bevitori di mercurio lo isolano dalle feci, lo lavano e lo riprendono nuovamente. In alcuni casi il mercurio viene preso per sublimazione e talvolta mescolato all’oppio”.

Questo brano mi è venuto in mente appena ho avuto tra le mani l’ultima fatica editoriale di Leonardo Anatrini il cui titolo è Bevitori di mercurio. Storie di alchimia da Lavoisier a oggi. Come viene subito chiarito dal sottotitolo, il volume non parla affatto di droghe e di strane pratiche lituane, bensì di alchimia.
Al lettore moderno non specialista la parola alchimia probabilmente farà venire in mente la saga di Harry Potter, dove l’alchimia compare come disciplina insegnata nella Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, oppure evocherà antri oscuri, fumosi e misteriosi all’interno dei quali bizzarri studiosi armeggiano inseguendo il sogno illusorio di trasformare i metalli comuni in oro.
L’alchimia è anche questo, ma rappresenta sicuramente una cosa molto più complessa e interessante dal punto di vista storiografico e culturale, e Leonardo Anatrini è senza dubbio la persona adatta per raccontarcelo. Anatrini, infatti, dopo essersi laureato in Storia e Civiltà Orientali nel 2013 e in Scienze Storiche nel 2016 presso l’Università degli Studi di Bologna, ha conseguito un dottorato di ricerca in Scienze Umane (specializzazione in Storia della Scienza e delle Tecniche) nel 2021, presso l’Università degli Studi di Ferrara. La sua tesi di dottorato ha riguardato proprio la storia dell’alchimia in Francia fra tardo settecento e primo dopoguerra. Attualmente è professore a contratto di Storia delle scienze e delle tecniche all’Università degli Studi di Firenze e assegnista di ricerca all’ateneo di Ferrara. La sua attività di ricerca si concentra sull’evoluzione dei rapporti fra scienza e credenza in Europa a partire dal XVI secolo, e in particolare sulla storia dell’alchimia, della chimica e della comunicazione scientifica. Prima di Bevitori di mercurio aveva già affrontato il tema dell’alchimia nel volume La scienza impossibile. Percorsi dell’alchimia in Francia tra Ottocento e Novecento (Carocci, 2020), scritto insieme a Marco Ciardi, ordinario di Storia della scienza e delle tecniche presso l’Università degli Studi di Firenze.
In estrema sintesi l’alchimia fu una curiosa attività iniziatica e segreta in cui gli adepti, studiavano le trasformazioni della materia, attribuendo però a queste ultime un profondo significato spirituale. L’obiettivo degli alchimisti era la cosiddetta Grande Opera (Opus alchemico) che avrebbe consentito di trasformare ogni cosa (uomo compreso) verso un ideale stato di perfezione. Nell’ambito di questo obiettivo si collocava la ricerca della pietra filosofale (lapis philosophorum), misteriosa sostanza in grado di trasformare in oro i metalli vili. Lo scopo non era tuttavia solamente economico. La rigenerazione dei metalli verso lo stato di perfezione rappresentato dall’oro rispecchiava, per analogia, la redenzione dell’uomo verso lo stato di grazia, perduto a causa del peccato originale. L’obiettivo principale dell’alchimia non era pertanto la trasmutazione dei metalli, bensì la trasformazione dell’alchimista stesso verso un’umanità nobile e aurea.

Disciplina dalla storia millenaria, l’alchimia viene spesso considerata la progenitrice della chimica moderna e solitamente la si considera definitivamente tramontata dopo che le moderne concezioni scientifiche della materia hanno cominciato a imporsi a partire dalla seconda metà del settecento. Come si legge nell’introduzione di Bevitori di mercurio:

“Fino a qualche decina di anni fa, la letteratura dedicata alla storia dell’alchimia sembrava essere tacitamente concorde nel collocare intorno all’ultimo quarto del XVIII secolo la dipartita della disciplina, come conseguenza logica della vera e propria rivoluzione che, in particolar modo grazie ad Antoine-Laurent Lavoisier (1743-1794), aveva portato alla nascita della scienza chimica, finalmente basata su principi stabili e su un’idea di inalterabilità della materia ormai inconciliabile con concetti come quello di ‘trasmutazione alchemica'”.

In realtà le cose non stanno proprio così dal punto di vista storico e il libro di Anatrini lo dimostra chiaramente citando solide evidenze. Negli anni successivi alla rivoluzione chimica di Lavoisier, in particolare nel corso del XIX secolo, l’alchimia conobbe uno sviluppo sotterraneo, soprattutto in seno ad ambienti iniziatici che cercavano di valorizzarne soprattutto gli aspetti spirituali. Tuttavia l’alchimia sopravvisse anche nella memoria degli stessi chimici che, per tutta la prima metà del XIX secolo, ne indagarono la storia e i principi ispiratori cercando di capire se in essa vi fosse qualcosa di vero.
Nella Francia del secondo ottocento la tradizione alchemica si inserì progressivamente nell’ambito delle scienze occulte. Mentre la scienza accademica seguiva rigorosamente il metodo sperimentale e all’interno della comunità dei ricercatori era fondamentale la condivisione dei risultati ottenuti, nell’ambito delle cosiddette scienze occulte l’approccio era differente: ci si rifaceva soprattutto alla tradizione, si manteneva una rigida segretezza e ci si ispirava a credenze a priori, spesso mischiate a elementi magico-religiosi. Gli insuccessi, infine, non venivano attribuiti all’inconsistenza delle teorie ispiratrici, bensì a una semplice incapacità o inadeguatezza degli operatori. Nelle cosiddette scienze occulte si ritrovavano, in sintesi, tutte le caratteristiche di quelle discipline che oggi vengono genericamente indicate come pseudoscienze.
Il volume di Anatrini, dopo una lunga introduzione, si sviluppa attraverso 4 grossi capitoli, a loro volta suddivisi in paragrafi. Il primo capitolo si intitola “Uniformare e classificare. La scienza più giovane affronta i propri fantasmi (1789-1944)” e riguarda proprio la riflessione sull’alchimia fatta da alcuni protagonisti della neonata scienza della materia e dei suoi successivi sviluppi. Ricordiamo, en passant, che anche Isaac Newton (1642-1727), universalmente considerato uno dei padri della scienza moderna, dedicò buona parte della propria esistenza agli studi alchemici.
Il secondo capitolo, “Rinnovare e sistematizzare. Uno scomposto e multiforme avanguardismo (1803-1851)”, riguarda invece l’esame delle poche opere alchemiche pubblicate in Francia nella prima metà dell’ottocento (sostanzialmente solo tre), l’analisi dell’evoluzione del concetto di alchimia e delle discipline esoteriche a essa legate, tra cui la celebre teoria vitalistica del magnetismo animale dell’austriaco Franz Anton Mesmer (1734-1815) che tanto seguito ebbe nelle corti dell’epoca.
Il terzo capitolo, “Aspettando la nuova età dell’oro. Chimica, alchimia e occultismo (1845-1894”, analizza gli sviluppi della chimica del periodo, mostrando però alcuni autori che, pur accettando i nuovi risultati della chimica, continuarono a inseguire ricerche che possono essere considerate in buona sostanza di carattere alchemico. Non mancarono tuttavia altri autori che abbracciarono una deriva decisamente occultistica, tra questi Éliphas Lévi, pseudonimo di Alphonse Louis Constant (1810-1875), sicuramente il più noto occultista e studioso di esoterismo dell’ottocento.
Il quarto e ultimo capitolo si intitola “Fra utopia e tradizione. Un sogno senza fine (1894-2023)”. Nel periodo considerato, che arriva fino ai nostri giorni, si sviluppano le varie epistemologie che tendono sempre più a distinguere tra credenza e conoscenza. Parallelamente però le filosofie di stampo idealistico valorizzano approcci alla realtà basati sull’intuizione e l’illuminazione e questo conduce a una rivalutazione anche della tradizione esoterica, occultistica e alchemica. Un’opera come Il mattino dei maghi, pubblicata nel 1960 da Louis Pauwels (1920-1997), giornalista e scrittore, e Jacques Bergier (1912-1978) ingegnere, giornalista e scrittore, entrambi appassionati di occultismo, contribuì a rendere popolare questa tradizione, nonostante le evidenti derive pseudoscientifiche che la caratterizzano.
Bevitori di mercurio, attraverso i suoi vari capitoli, illustra dettagliatamente il complesso dibattito scientifico, storico e filosofico sviluppatosi in un periodo per il quale la moderna storiografia non aveva ancora elaborato un’approfondita analisi, colmando in tal modo una lacuna. Periodo che va dalla rivoluzione chimica della seconda metà del settecento fino ai giorni nostri. Da tale dibattito emerge chiaramente che l’alchimia, contrariamente a quello che si pensava, non è affatto scomparsa, ma è sopravvissuta sia pure modificandosi e assumendo differenti fisionomie.
Il volume di Anatrini, frutto di un enorme lavoro di ricerca, in definitiva, fornisce un’utile e rigorosa disamina storica che analizza il sempre labile confine tra scienza e pseudoscienza. Confine che viene talvolta violato, ahimè, anche da scienziati accreditati [pensiamo al ruolo avuto dal premio Nobel Luc Montagnier (1932-2022) nelle campagne complottistiche e no-vax nel recente periodo della pandemia da SARS-CoV-2].
Il maggior merito di Bevitori di mercurio è quello di mostrarci la natura prettamente umana dell’impresa scientifica con i suoi inevitabili sbandamenti, le sue correzioni e i suoi ripensamenti, sempre il bilico però tra la razionalità e l’emotività che caratterizzano la mente umana. In tal modo esso può sicuramente contribuire a modificare molti stereotipi diffusi sulla scienza, considerata spesso e ingiustamente aliena e priva di umanità. Per usare le parole con cui lo stesso autore conclude il testo:

“Cercando coincidenze abbastanza a lungo si può finire per trovare complotti in ogni dove, ma quando possibile è doveroso porre rimedio al problema, in un’ottica di salvaguardia di quei valori democratici e di quella coesione sociale su cui la scienza si fonda. E se in tal senso l’indagine storico-scientifica può dare il proprio contributo, sarebbe senz’altro poco saggio sottrarsi a una sfida che, in ultima analisi, renderebbe meno profondo il baratro che separa la cultura umanistica da quella scientifica.”



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