Decreto Cutro, “un autogol per il governo”: intervista a Christopher Hein

Sulle novità introdotte dal decreto Cutro intervistiamo Christopher Hein, professore di Diritto e Politiche di immigrazione e asilo dell’Università Luiss di Roma.

Michela Fantozzi

Può riassumerci in breve i punti salienti del  decreto Cutro?
Tocca tanti aspetti diversi delle politiche dell’immigrazione e d’asilo. Una prima parte del decreto riguarda l’agevolazione dell’ingresso regolare di lavoratori stranieri provenienti da Paesi terzi per motivi di lavoro, nel contesto del famoso decreto flussi. Quindi facilita le procedure per il rilascio del visto d’ingresso per motivi di lavoro e la migrazione lavorativa regolare. È prevista anche la possibilità di accesso a lavoratori stranieri fuori quota, quando questi nel Paese d’origine si sono sottoposti a un corso di formazione o riqualificazione professionale sulla base di accordi con il Paese terzo. E questa è effettivamente una misura positiva ed è un tentativo politico di rispondere molto parzialmente alla domanda del mercato del lavoro interna e, quindi, di accontentare anche le parti sociali, incluso Confindustria, Confcommercio, Confagricoltura eccetera, che chiedono una maggiore apertura. Perché sappiamo molto bene che, cominciando dall’industria turistica, c’è una pesante scarsità di lavoratori.

Riguardo ai permessi per chi si trova già sul territorio nazionale, che cosa cambia?
Per quanto riguarda l’asilo e i rifugiati, il dibattito pubblico si è molto focalizzato sulla pressoché totale abolizione della protezione speciale. Si è fatta meno attenzione a un aspetto che mi sembra altrettanto, se non di più, preoccupante: che i richiedenti asilo d’ora in poi non possono più accedere a un sistema di accoglienza presente in tutta Europa, il cosiddetto sistema Sai, il Sistema asilo e integrazione, che prevede piccole strutture o anche appartamenti decentrati in gestione dei Comuni che, con l’aiuto del privato, mettono in essere un intenso lavoro per favorire l’integrazione.

Questo cosa implica?
Il decreto Cutro toglie la possibilità di accedere a questo sistema a tutti i richiedenti asilo (ex protezione speciale, rifugiati e protezione sussidiaria). Questa è una grossa contraddizione. Perché, da una parte, si parla della necessità di integrazione ma, nella prassi, la neghiamo ai richiedenti asilo per non dare l’impressione che il richiedente sia già con un piede dentro e che abbia la prospettiva di ricevere un permesso di soggiorno. Ad esempio, viene tolta la possibilità di offrire l’insegnamento della lingua italiana, che mi sembra una follia. È così.

Cosa succederà nella pratica?
Supponiamo che un richiedente asilo arrivi sul territorio nazionale. Viene messo in una grande struttura governativa. Dopo la procedura che segue la richiesta di soggiorno, gli viene riconosciuta la protezione internazionale o altro tipo di protezione. E poi cosa? Il richiedente non ha imparato la lingua, non ha svolto un percorso formativo per accedere al mercato del lavoro, non ha un orientamento su come trovare una casa. Quindi peserà necessariamente sulla collettività, con un costo enorme. E questo secondo me è da tutti i punti di vista un autogol per questo governo.

L’anno scorso erano 11mila i beneficiari della protezione speciale. Cosa succederà a queste persone?
La protezione speciale (che prima del 2018 in Italia veniva chiamata protezione umanitaria) con il governo Conte II seguiva testualmente la giurisprudenza della Corte di Cassazione, includendo la protezione della vita familiare e privata, garantita peraltro anche dall’articolo 8 della Convenzione europea sui diritti umani.
Questa casistica è stata eliminata. Le persone con l’ex protezione speciale non potranno essere né riconosciute come rifugiate ai sensi della Convenzione di Ginevra, né possono essere riconosciute per la protezione sussidiaria perché non hanno i requisiti. Rimangono certamente in Italia. Senza la possibilità di avere un permesso di soggiorno, avendo già un certo grado di integrazione consumata, con una conoscenza almeno rudimentale della lingua italiana, con legami di vario tipo, familiari o altri, e con una buona prospettiva di lavoro o già impiegati, anche se magari non con un normale e legale contratto di lavoro.
Quindi queste persone sono condannate a quella che viene chiamata clandestinità. Persone che vivono qui tra di noi, senza una regolarità di soggiorno e senza poter accedere ai servizi pubblici.
Questo è un aspetto, l’altro è quello giuridico. La giurisprudenza della Cassazione ha giustificato il permesso speciale per motivi famigliari o di vita privata, richiamando l’articolo 10, terzo comma della Costituzione.  Proprio l’articolo 10 prevede che in Italia si attuino tre forme di protezione allo straniero, ossia quella del rifugiato, la protezione sussidiaria e la protezione speciale (ex umanitaria). Questi riconoscimenti ripetuti negli ultimi anni in varie sentenze della Cassazione adesso sono svuotati e il terzo elemento, la protezione speciale, non c’è più.
Cosa succederà? Le persone passeranno, a ragione, direttamente al tribunale invocando l’articolo 10, terzo comma della Costituzione, intasando totalmente la macchina giudiziaria. Parliamo di decine e decine di migliaia di persone. Non si può non considerare la Costituzione, gli obblighi internazionali dell’Italia, non ultimo quelli derivanti dalla Convenzione europea sui diritti umani. E quindi secondo me, questo governo si è fatto un autogol. E certamente questo non scoraggia le persone a venire in Italia.

È stato detto che da ora in poi i richiedenti verranno trattati come già rei e verranno detenuti nei centri permanenti di rimpatrio. È corretto?
È corretto in parte. Questo decreto introduce per la prima volta in Italia la cosiddetta procedura d’asilo alla frontiera, una procedura per le persone che nel momento dell’ingresso nel territorio italiano presentano una richiesta di protezione. Se queste persone provengono da un cosiddetto Paese d’origine sicuro possono essere immediatamente detenute in questi centri di permanenza per il rimpatrio. Oppure, in alternativa, negli hotspot che già esistono in Sicilia e in Puglia. Quindi assistiamo a una privazione della libertà individuale e, in più, all’eliminazione della convalida dell’arresto da parte del giudice di pace. Il numero di persone che possono essere detenute in questi centri di permanenza per il rimpatrio aumenterà molto. Pensiamo ai nigeriani e alle nigeriane, spesso vittime di tratta. Sarò più facile imprigionarli perché la Nigeria è stata recentemente inserita dall’Italia nella lista dei Paesi sicuri. Non conosco altro Paese in Europa (solo Cipro, ndr) che abbia classificato la Nigeria come Paese di origine sicura.

Come pensa riceverà l’Europa il decreto Cutro?
Rispetto ai provvedimenti presi da altri Stati, siamo in controtendenza. La Germania dal 1º gennaio di quest’anno ha una nuova legge che va nella direzione opposta con lo scopo di facilitare un soggiorno permanente più durevole per chi ha già un certo grado di inserimento di fatto nella società tedesca. La Francia ha introdotto, sotto nome diverso, una specie di protezione speciale. Da neanche un anno, quindi, almeno questi due Paesi, vanno proprio nella direzione opposta, mentre l’Italia si avvicina di più alle politiche di Paesi come Ungheria e Polonia. E certamente preoccupa l’Europa perché il decreto Cutro spinge ancora più persone al famoso movimento secondario. Non scoraggia le persone a venire in Italia, ma le incentiva a spostarsi dall’Italia verso Paesi come la Francia, aumentando le tensioni diplomatiche.

Lo scorso mese il governo ha dichiarato lo stato di emergenza per i flussi migratori. Secondo lei, è stata una mossa legittima?
Lo stato di emergenza per l’immigrazione è stato dichiarato solamente una volta nella storia, nel 2011 sotto il governo Berlusconi ed è una misura che dà l’impressione che esista un’emergenza. In questi primi quattro mesi del 2023 abbiamo avuto 42mila arrivi, molti meno di quelli del 2016 o 2017 nello stesso periodo.
Nella valutazione del governo c’è un aspetto simbolico e uno concreto.
Quello simbolico vede le migrazioni concepite, percepite, affrontate, governate, in forma emergenziale, che è la grande malattia italiana da trent’anni a questa parte. Invece che vedere nell’immigrazione un fenomeno sociale come tanti altri. È questo l’aspetto simbolico da non sottovalutare, l’importanza che viene data all’immigrazione di fronte all’opinione pubblica. L’aspetto concreto, invece, consiste nell’agevolare procedure di costruzione di centri di accoglienza, incluso centri per il rimpatrio. Prevede anche la nomina di un commissario per le migrazioni con poteri che possono sostituire i poteri costituzionali delle Regioni e dei Comuni. Nella prassi vuol dire che lo Stato può fare a meno di indire bandi, danneggiando la trasparenza nella gestione del denaro e quindi creando un rischio certamente maggiore di infiltrazione mafiosa.

Quindi si potrebbe dire che l’intenzione era solamente quella di ottenere maggior potere e discrezione nel gestire i flussi migratoti?
Sì, maggiori poteri dello Stato centrale rispetto alle Regioni e più disponibilità di fondi. Finora sono stati destinati a questa ordinanza 5 milioni di euro, una cifra irrisoria. L’aspetto importante è la deviazione dell’attenzione dall’integrazione. Allo stesso tempo ricevendo dall’Unione Europea 150 milioni di euro del Fondo dell’Unione per l’integrazione. Questa è una contraddizione che preoccupa non poco la Commissione europea.

 

Foto Governo italiano, Presidenza del consiglio dei ministri 



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