Giorgia Meloni contro le notizie. La solidarietà di MicroMega a Fanpage

L’inchiesta in due puntate del quotidiano online Fanpage, che ha mostrato la diffusa presenza di sentimenti e idee razziste e antisemite nella giovanile del partito Fratelli d’Italia e fra tanti suoi esponenti legati anche a figure apicali del governo e in parlamento, è stata attaccata dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni con parole gravemente vittimistiche e velate minacce. Ai colleghi e alle colleghe va la nostra solidarietà.

Redazione

“Prendo atto che da oggi nello scontro politico è possibile infiltrarsi nei partiti politici e nelle organizzazioni sindacali, riprenderne segretamente le riunioni e pubblicarle discrezionalmente. Si è chiesto come mai non è successo prima in 75 anni di storia repubblicana?”. Parole di Giorgia Meloni, presidente del Consiglio della Repubblica italiana, iscritta all’Ordine dei giornalisti professionisti. Per una del mestiere, sorprendente cadere dalle nuvole in questo modo. In realtà è successo tante volte che i giornalisti cercassero notizie dentro le riunioni dei partiti, nei loro verbali, nelle loro chat private. Basta fare una breve ricerca su Google per vedersi scorrere davanti decine di riscontri, dagli addii di Renzi via Whatsapp al Partito Democratico e le frecciatine conseguenti, a Virginia Raggi che finisce su Repubblica perché “rilancia la propaganda russa” in una chat privata del Movimento 5 stelle. Per non parlare di quei famosi cablo di WikiLeaks, di cui per l’Italia parlava anni fa l’Espresso in relazione, fra le tante cose, al “sistema Letta”, che hanno causato l’ira dei dipartimenti di Stato portando alla persecuzione di Julian Assange, oggi finalmente libero, ma hanno anche rappresentato una fonte giornalistica primaria per smascherare le movenze del potere militare.

Se la base del lavoro del giornalista è trovare le notizie, quando la notizia c’è, la si deve pubblicare, senza considerazioni riguardanti lo “scontro politico”. Trasformare le notizie in materiale per lo scontro politico è il mestiere dei politici, e Giorgia Meloni lo sa molto molto bene.

Che ci sia una componente tutt’altro che marginale di razzisti, antisemiti e fascisti, fieri e dichiarati, nelle organizzazioni giovanili del partito attualmente di maggioranza nel parlamento italiano e nella composizione del governo di una Repubblica sorta dall’antifascismo, ebbene: è una notizia. È una notizia oggi, nel 2024, non perché non lo sapessimo già, che ci sono fascisti, anzi per citare la presidente: ci sono “razzisti, antisemiti e nostalgici” a tutti i livelli nel mondo dei militanti di Fratelli d’Italia, giovani e adulti. Ci sono nel pantheon storico, ci sono nel presente. Ci sono persone col busto di Mussolini in casa e altre che si travestono con le divise delle SS. Ci sono quelli e quelle che non si sono mai voluti né potuti dichiarare antifascisti, ci sono altri che fanno il saluto romano.

Tutto questo lo sappiamo già. Ma nel 2024, l’inchiesta di Fanpage costituisce una notizia perché nel mondo della post-verità in cui navighiamo, sono i crudi fatti che entrano nel quadro e dissolvono la nebbia delle mistificazioni. Se l’antisemitismo irrompe come fatto e quindi come notizia, e si fa dunque inutilizzabile come strumento retorico di propaganda – come è stato in tutti questi mesi, in cui l’accusa di antisemitismo è stata scagliata contro qualunque posizione critica nei confronti di Israele e contemporaneamente l’antisemitismo storico, viscerale, consustanziale alle destre filoisraeliane è stato messo sotto il tappeto – per la leadership di Meloni diventa un problema potenzialmente ben più grande della gestione della sua giovanile. Ecco perché, come è suo costume, la reazione passivo-aggressiva, ovvero sottilmente minacciosa, contro Fanpage e i suoi giornalisti, contenuta in quel “lo chiedo al presidente della Repubblica: è consentito [infiltrarsi ecc.ecc]? In altri tempi, questi sono i metodi che usavano i regimi”.

Ai colleghi e alle colleghe della testata va la nostra piena solidarietà. Finché c’è giornalismo c’è democrazia, perché lo spazio del discorso pubblico torna a riempirsi di un senso costruito sui fatti, e non sui simulacri, le mistificazioni o le menzogne. Finché c’è giornalismo, c’è esercizio della cittadinanza. Ai regimi di tutti i tempi piace, invece, sostituire le notizie con le veline, quelle che provenivano dal Minculpop durante il fascismo, e che sempre più spesso ci sembra di scorgere negli studi televisivi del servizio pubblico, dove l’inchiesta di Fanpage è stata tenuta sotto silenzio per giorni e giorni, mentre nel frattempo diventava notizia in tutto il mondo. Il Cdr di RaiNews ha rilasciato un comunicato lamentando l’esercizio di una censura che ha impedito in redazione di coprire la notizia dell’inchiesta, e che impedisce in generale sempre di più ai professionisti del servizio pubblico di fare il loro mestiere. Questo è quello che piace ai regimi: controllare le notizie, possibilmente prima che escano.

CREDITI FOTO: Fanpage, un fotogramma dal video dell’inchiesta.



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