Guerra e pace alle elezioni europee: la sinistra fra ipocrisie e candidati indecenti

L’attuale contesto geopolitico mondiale ci costringe a mettere il tema delle guerre al centro del dibattito politico per le elezioni europee. Se non stupisce il voltafaccia della destra passata dalla fervente ammirazione per Putin al totale asservimento alla Nato, sia in Ucraina sia in Israele, a sinistra il discorso è più complesso e interessante. Tra la storia del Pd segnata dall’allontanamento del Pci dall’Urss, le ipocrisie del M5S, il moralismo senza soluzioni concrete di Alleanza Verdi-Sinistra, e i candidati indecenti della lista di Santoro “Pace, Terra e Dignità”.

Germano Monti

Nelle imminenti elezioni per il Parlamento europeo il tema della guerra costituirà un aspetto centrale, se non altro perché di guerre alle porte di casa ne abbiamo almeno due: quella provocata dall’invasione russa dell’Ucraina e la campagna di sterminio condotta dallo Stato di Israele nella Striscia di Gaza a seguito del massacro compiuto da Hamas lo scorso 7 ottobre. È interessante, dunque, osservare il posizionamento delle varie forze politiche in merito a entrambi i conflitti, le cui ripercussioni impattano violentemente anche il nostro Paese.
Per quanto riguarda le forze dell’attuale maggioranza di destra, non occorrono grandi sforzi di analisi. Il partito erede del Msi di Giorgio Almirante si è saldamente collocato al servizio della Nato e degli Usa, lasciandosi alle spalle le suggestioni anti-americane e filo-russe che lo avevano attraversato in precedenza, quando Giorgia Meloni lodava il “cristiano” Vladimir Putin come garante e custode dei sacri valori tradizionali. Parimenti, anche nei confronti del genocidio in atto nella Striscia di Gaza, il governo “sovranista” segue pedissequamente le oscillanti disposizioni dell’amministrazione Usa. Del resto, la duttilità trasformistica dell’estrema destra non è una novità, almeno per chi ne conosce la storia, come spiega esaurientemente il politologo ucraino Anton Shekotsvov nel suo libro del 2017 Russia and the Western Far Right: Tango Noir, sfortunatamente non disponibile in italiano.
Nel suo libro, Shekotsov si occupa ampiamente anche della Lega di Matteo Salvini, al tempo anch’egli fervido ammiratore dell’autocrate del Cremlino, salvo poi, come i suoi alleati pos-tfascisti, acconciarsi a sostenere la linea atlantista, sia pure con qualche disagio. Quanto a Forza Italia, il suo padre-padrone non solo non ha mai nascosto la sua simpatia nei confronti di Vladimir Putin, ma ancora pochi mesi prima di passare a miglior vita si era lasciato andare a dichiarazioni quantomeno imbarazzanti, arrivando a sostenere che, con l’invasione dell’Ucraina, il leader russo intendeva solo installare a Kyiv un governo di “persone perbene” per poi riportare le truppe a casa nel giro di un paio di settimane. Ora, anche la creatura politica di Silvio Berlusconi si è allineata senza se e senza ma alla linea dettata da Biden e Stoltenberg.
Se la disinvoltura della Destra consente di liquidare le sue posizioni in poche righe, a sinistra il discorso è molto più complesso, ma anche più interessante.
Dagli albori della Guerra Fredda la “pace” è sempre stata una tematica fondante dell’agire della sinistra italiana, la cui espressione maggioritaria era costituita da un Partito Comunista molto legato all’Unione Sovietica almeno fino alla seconda metà degli anni 70. Fino a quando Enrico Berlinguer, intervistato da Giampaolo Pansa sul Corriere della Sera,  ammise di sentirsi più al sicuro al riparo dell’ombrello Nato, poiché questo consentiva di “procedere lungo la via italiana al socialismo senza alcun condizionamento”, cosa che l’appartenenza al Patto di Varsavia non avrebbe permesso. Lo sganciamento del Pci dall’orbita moscovita non impedì, comunque, la sua partecipazione alle battaglie condotte dai movimenti pacifisti contro la Nato e il riarmo, che toccarono il loro punto più alto nelle manifestazioni contro l’installazione dei missili Cruise in Sicilia nei primi anni 80.
Quello che è successo dopo la dissoluzione del Pci è noto: gli eredi di Longo e Togliatti, ibridati con quelli di De Gasperi e Scelba, nella loro ansia di legittimazione hanno finito per appiattirsi sulla Nato, persino più supinamente di quanto non avessero fatto i loro predecessori democristiani e socialisti, prima astenendosi nel voto sulla partecipazione alla Guerra del Golfo nel 1991 e poi, al governo con Massimo D’Alema, partecipando attivamente alla guerra contro la Jugoslavia nel 1999, cui l’aviazione italiana contribuì con 250 missioni di bombardamento. L’approdo atlantista degli ex comunisti si è definitivamente compiuto con la trasformazione in Partito Democratico e la conseguente assunzione di politiche filo-israeliane, accentuatesi con la segreteria di Piero Fassino e, ai giorni nostri, con il sostegno incondizionato al riarmo dell’Ucraina aggredita, mentre la Segretaria Elly Schlein proibisce la presenza delle bandiere palestinesi nelle iniziative del suo partito.
Arrivando alle formazioni che più apertamente si dichiarano pacifiste, notiamo che il Movimento 5 Stelle, dopo aver votato i primi invii di armi all’Ucraina per resistere all’invasione russa, ha inutilmente reclamato un dibattito parlamentare sulla questione, per poi attestarsi sul rifiuto di ulteriori rifornimenti italiani agli arsenali di Kyiv, senza – però – spiegare come intenderebbe convincere Putin a rinunciare a bombardare sistematicamente le città e le infrastrutture ucraine per sedersi a un tavolo negoziale. Quanto all’alleanza rosso-verde, ha sempre votato contro l’invio di armi all’Ucraina, anche lei senza spiegare cosa si potrebbe fare per indurre Putin a smetterla di far piovere sull’Ucraina bombe, droni e missili ipersonici.
Resta, infine, da volgere lo sguardo sull’iniziativa intrapresa dall’ex anchorman Michele Santoro e altri, concretizzatasi nella presentazione alle elezioni europee della lista “Pace, Terra, Dignità”. Il programma della lista è costituito da un solo punto, la pace stessa, un po’ come nelle dichiarazioni stereotipate delle aspiranti Miss Italia.
La ricetta di Santoro per porre fine alla guerra in Ucraina è molto semplice ed è stata ribadita in innumerevoli riunioni, trasmissioni televisive, interviste e comunicazioni social: bisogna smettere di armare l’Ucraina e si devono revocare le sanzioni imposte alla Russia. Per onestà, bisogna dire che Santoro non ha mai proposto Vladimir Putin per il Premio Nobel per la Pace, anche se non ha lesinato gli inviti a non demonizzarlo e a comprendere le sue ragioni.
Se si dà un’occhiata alla composizione della lista di Santoro, saltano agli occhi alcuni nomi non impresentabili, ma proprio indecenti. Uno è quello di Fiammetta Cucurnia, vedova dell’indimenticato Giulietto Chiesa, del quale ha preso in mano l’ingrata missione di giustificare l’operato della Russia di Putin anche a costo di arrampicarsi sugli specchi più scivolosi, cosa che – bisogna ammetterlo – lei fa con grande professionalità. L’altro nome in lista, poi, è davvero oltre ogni impudicizia.
Nicolai Verjbitki, noto con il nom de plume di Nicolai Lilin (pare adottato in omaggio alla madre Lilia), ha raggiunto la notorietà con il romanzo “Educazione siberiana”, portato sul grande schermo con la prestigiosa regia di Gabriele Salvatores, in cui narra – secondo molti, millantando sfacciatamente – le proprie peripezie di malavitoso e cecchino dell’esercito russo in Cecenia. Naturalmente, non mi permetto di criticare letterariamente l’opera di Lilin e mi limito a citare alcuni elementi che trovo un po’ ostativi alla sua presenza in una lista che vorrebbe richiamarsi alla pace, alla terra e alla dignità.
Non è la prima volta che a Lilin viene offerta una candidatura politica. Nel 2021, è candidato con i Verdi di Angelo Bonelli al Comune di Milano, a sostegno della riconferma del Sindaco di centrosinistra Giuseppe Sala. La sua candidatura provoca l’indignata reazione di molti antifascisti, che denunciano la sua partecipazione a iniziative “culturali” dei nazifascisti di CasaPound e Lealtà e Azione. Il caso viene sollevato anche dal candidato sindaco della lista di sinistra “Milano in Comune”, Gabriele Mariani, sostenuto pure dal Partito della Rifondazione Comunista, e Lilin è costretto a ritirare la propria candidatura. Sic transit gloria mundi: oggi il segretario del partito della Rifondazione Comunista, Maurizio Acerbo, è candidato nella stessa lista di Nicolai Lilin.
Per definire i contorni del personaggio, può essere utile richiamare l’attenzione sul fatto che lo scrittore moldavo (già, con la Siberia Lilin non c’entra proprio nulla) sia attualmente sotto processo perché denunciato nel 2017 dall’allora Presidente della Camera Laura Boldrini a causa di un tweet, poi seguito da interviste cartacee e televisive, in cui attaccava l’esponente del Partito Democratico dopo l’attentato dell’Isis a Barcellona in cui perse la vita anche un cittadino italiano: Un altro nostro concittadino massacrato dai terroristi islamici, amici della Boldrini, sostenuti dalla sinistra Italiana. Interessanti anche le sue esternazioni su Maia Sandu, Presidente della Moldavia, da lui definita con disprezzo, anche recentemente, “lesbica da combattimento”, nel quadro di una campagna di disinformazione gestita dal Cremlino che già nel 2019 aveva costretto la politica moldava a smentire pubblicamente la sua presunta omosessualità, evidentemente considerata da Lilin – come da Putin, del resto – una colpa gravissima. Oggi Lilin si dedica alla divulgazione di fake news a sostegno della propaganda russa, principalmente attraverso i suoi canali Telegram e Youtube, essendo stato bannato da altri social a causa delle bufale che pubblicava. Fra gli ultimi scoop di Lilin, vale la pena di segnalare quello riguardante bambini ucraini avvelenati dal cioccolato drogato fornito dalla Nato, l’uccisione di un alto ufficiale inglese in combattimento a Odessa e la “confessione” di un sedicente disertore ucraino che ha rivelato un tentativo dei servizi di Kyiv di assassinare – a Mosca e con un’autobomba – il giornalista statunitense Tucker Carlson, “notizie” spesso non divulgate nemmeno dalle agenzie ufficiali russe. Sempre sui suoi canali, Lilin pubblica panegirici sperticati sui successi dell’esercito russo in Ucraina.
Naturalmente, per Lilin l’Ucraina come entità autonoma non è mai esistita, come dichiara nel suo libro “Ucraina, la vera storia”, dove afferma che “Se non fosse per i rivoluzionari bolscevichi ebrei, l’Ucraina oggi esisterebbe come parte della Russia”, in perfetta sintonia con l’opinione di Vladimir Putin.
Infine, a Santoro non interessa minimamente l’esistenza di persone che si oppongono alla guerra nella stessa Russia di Putin, subendo per questo repressione, persecuzione, tortura e morte… insomma, ci vuole molta fantasia per definire “pacifista” la sua lista.
A oggi, la strategia atlantista della guerra a oltranza, fino alla sconfitta totale della Russia, non ha prodotto i risultati sperati, come ammettono sempre più numerosi ex sostenitori della guerra fino alla vittoria. Costretta dall’inaspettata resistenza ucraina a ritirarsi dalle vicinanze delle grandi città come Kyiv, Kharkiv e Odessa, l’armata di Putin si è prima trincerata nelle regioni orientali ucraine occupate, ha respinto senza grandi difficoltà la velleitaria controffensiva ucraina e sta ora guadagnando nuovo terreno, lentamente ma inesorabilmente, mentre devasta a suon di missili e droni le infrastrutture ucraine. Al tempo stesso, le sanzioni adottate non hanno messo in ginocchio l’economia russa, anche se le hanno provocato grandi difficoltà e costretto Mosca a un rafforzamento dei legami con la Cina che sa molto di dipendenza.
A conti fatti oggi la dura realtà è che nessuno ha in tasca una qualsiasi strada credibile per arrivare a una soluzione pacifica del conflitto scatenato dall’invasione russa, una soluzione che non contempli la resa dell’Ucraina di fronte agli invasori. Il necessario pessimismo della ragione non consente di andare oltre la speranza di un armistizio che cristallizzi la situazione sul terreno, in attesa di tempi migliori, una condizione simile a quella del 38° parallelo nella penisola di Corea o a quella della Linea Verde che da mezzo secolo divide l’isola di Cipro, dopo l’invasione turca della parte settentrionale. Un’amarissima pace fredda, pur sempre preferibile a una devastante guerra calda.
CREDITI FOTO: Brussels, Belgium – 04 May 2024, ANSA-ZUMAPRESS /
Michael Currie



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