Il governo Meloni segue la linea Almirante: non rinnega e non restaura

Il governo Meloni, ispirato dal motto di Giorgio Almirante, non rinnega e non restaura. Non rinnega garantendo una linea di continuità ideologica con il passato fascista, a partire dalla fiamma tricolore nel simbolo di FdI, fino alla tolleranza della violenza squadrista. Non restaura perché, deposta la bandiera sovranista-nazionalista, agita quella liberista e bellicista: no tasse sugli extraprofitti delle banche, privatizzazione dei beni pubblici, aumento delle spese militari riarmiste da un lato, e abolizione del RdC, lotta al salario minimo legale e aumento del precariato dall’altro.

Michele Martelli

Tra fascismo e liberismo c’è contraddizione? Sì, se per fascismo si intende quello storicamente superato del primo Novecento, iper-nazionalista, aggressivo e guerrafondaio, che mirava alla ripartizione imperialistica delle colonie, dei mercati e delle materie prime. No, se per fascismo oggi si intende una nuova forma di “capocrazia”, di un uomo solo o una donna sola al comando, che adotti il paradigma liberista “più mercato meno Stato”, e si inchini devota alle folli scelte militariste e belliciste delle oligarchie industriali e finanziarie in declino.

Non restaura
“Non rinnegare e non restaurare”, ammoniva Almirante ai suoi “almirantini” nostalgici. Ebbene oggi la capa del governo e di FdI “non restaura”, perché, deposta la bandiera sovranista-nazionalista, agita quella liberista e bellicista della livida von der Leyen, con cui brama di far coppia, e del traballante Biden, da cui è baciata in fronte.
Non solo, ma Giorgia della (s)Garbatella, sin dal discorso di insediamento, enunciò con chiarezza “il motto” del suo governo, perfettamente allineato alle scelte destro-“sinistre”, o meglio ambidestre, più o meno apertamente neo-thatcheriane, della terna Monti-Renzi-Draghi: “Non disturberemo chi vuole fare; non lo Stato, ma le aziende creano ricchezza”. Ricchezza, va da sé, a vantaggio privato padronale, e a danno della maggioranza dei ceti lavoratori e/o meno abbienti, per non dire nullatenenti.
Onde la scarica di misure governative sul cuneo fiscale, il rifiuto di tassare gli extraprofitti delle banche, la privatizzazione dei beni pubblici, l’aumento delle spese militari riarmiste, da un lato, e, dall’altro, sull’abolizione del RdC, sul no al salario minimo legale, l’aumento del precariato e cioè del lavoro povero, la riduzione progressiva del welfare, la deportazione o l’abbandono degli immigrati al loro atroce destino di morte o schiavitù: griderà in eterno vendetta lo scempio del corpo di Satnam Singh, lavoratore indiano sfruttato a 2 euro all’ora nell’Agro Pontino, non per caso a suo tempo bonificato in osanna al Duce dal lavoro abbrutente e sacrificale, apportatore di malattie e morte di migliaia di lavoratori poveri o disoccupati del Nord e del Sud d’Italia.
Misure economiche, quelle meloniane, tutte volute, se non imposte, dalle agenzie di rating del grande capitale industrial-finanziario globale a guida statunitense, che, tutt’altro che spaventato dalla destra “fraterna” e “sorastra” al potere, continua a comprare il debito pubblico italiano. Cosa che può consentire a SoyGiorgia di comiziare-recitare strafottente sullo spread che non cresce (in realtà tuttavia minacciosamente e inesorabilmente cresce, seppure lentamente).

Non rinnega
D’altra parte, il governo almirantino di “Giorgio” Meloni non solo “non restaura”, ma “non rinnega”. E lo fa in due modi. Innanzitutto garantendo sul piano ideologico un’evidente linea di continuità col passato missino: tollera, ignora o giustifica, e comunque sdogana di fatto – contro il dettato, lo spirito e i valori antifascisti e progressisti della Costituzione – il coacervo di dogmi, simboli, azioni e rituali reazionari d’altri tempi: “Dio Patria Famiglia”, fiamma sul logo di FdI, aggressioni squadristiche in Parlamento e fuori, indottrinamento fascista dei giovani melonisti, esibizione del saluto romano in raduni e cortei, apoteosi del Duce e del suo busto; senza dire del silenzio sullo stragismo neofascista prima e dopo gli anni Settanta.
In secondo luogo, il che è più grave, cercando di porre in atto alcuni progetti di contro-riforma costituzionale, ovvero un nuovo ordinamento giudiziario, l’autonomia regionale differenziata e il premierato forte. Il primo progetto ha lo scopo sia di “non criminalizzare i criminali”, come dice una vignetta, cioè i potenti corrotti e corruttori, sia di colpire l’indipendenza della magistratura, riducendo al lumicino la separazione dei poteri, principio-cardine della liberal-democrazia. L’autonomia regionale differenziata non è che la secessione dei ricchi, come è stata ribattezzata dalle opposizioni. Il premierato forte infine è lo stravolgimento capocratico-ducesco della Repubblica democratico-parlamentare.
Ai poteri forti globali neoliberisti l’ideologia retrograda e clerico-fascista del governo Meloni non fa né caldo né freddo. Probabilmente non si è lontano dal vero se si suppone che a loro interessano soltanto le tre contro-riforme in corso, alla condizione però (del resto già prevista e soddisfatta nei progetti): a) che la magistratura si pieghi a un modello di legalità forte con i deboli e debole con i forti (chi, per esempio, controlla Amazon, lo stato di sfruttamento dei suoi dipendenti “angeli immigrati”, e quante e quali tasse l’azienda paga in Italia?); b) che l’autonomia regionale differenziata riduca nell’insieme del Paese le spese per il welfare (scuola, servizi, sanità); c) che la capocrazia decisionista sia più rapida, efficiente e docile ai loro diktat di un Parlamento indocile di forze politiche plurali e contrapposte, che responsabilmente analizzi e discuta per approvare poi a maggioranza.
In questo senso si può dire che il fascismo è una delle facce odierne del liberismo.
E viceversa.

CREDITI FOTO:
Arrivals at the European summit in Brussels, 27 giu 2024, ANSA-ZUMAPRESS / Nicolas Landemard



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