Il massacro di Rafah e le armi spuntate del diritto internazionale

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Quanti morti civili si dovranno ancora contare prima che gli Usa la smettano con i deboli richiami alla “moderazione” e passino ai fatti?

La reazione di Israele alle diverse pronunce delle Corti internazionali – quelle della Corte di giustizia che in un crescendo di pronunce a partire da dicembre scorso ha intimato a Israele di interrompere qualunque azione militare che metta a rischio genocidiario il popolo palestinese e la recente richiesta del procuratore della Corte penale di incriminare Netanyahu per crimini di guerra – mostra chiaramente come Tel Aviv non solo non tenga nel minimo conto il diritto internazionale ma si senta di fatto impunito e impunibile. Di fatto, a ogni pronuncia è seguito addirittura un incremento dell’azione militare, con azioni che producono un enorme numero di vittime civili, sistematicamente rubricati alla voce “tragici incidenti”. L’ultima in ordine di tempo la strage al campo profughi Tal as-Sultan, a nord-ovest di Rafa di ieri: 45 morti finora accertati, fra cui un numero imprecisato di bambini in cui corpi sono stati dilaniati dalle esplosioni.
Le pronunce della Corte di giustizia sarebbero in teoria vincolanti, ma non esiste un sistema coercitivo a disposizione della Corte per far applicare le sue sentenze, la cui applicazione rimane dunque alla mercé della volontà degli Stati o del Consiglio di sicurezza dell’Onu, dunque ancora della volontà di alcuni Stati visto che i membri permanente del Consiglio hanno diritto di veto.
Il fatto poi che gli Usa, come anche Israele, non abbiano sottoscritto lo Statuto della Corte penale internazionale (organo, ricordiamolo, autonomo e distinto dalla Corte di giustizia che invece è un organo dell’Onu) è un ulteriore elemento di debolezza del sistema di giustizia internazionale: se la richiesta del procuratore Khan di incriminare Netanyahu per crimini di guerra dovesse essere accolta dalla Corte, ci potrebbero essere degli elementi per considerare i leader degli Stati che hanno fornito sostegno militare a Netanyahu in qualche modo come complici, ma solo quelli che hanno sottoscritto lo Statuto sarebbero obbligati a perseguire questi crimini.
Insomma, è del tutto evidente che gli organismi del diritto internazionale hanno armi spuntatissime e che attualmente c’è un unico strumento in grado di fermare il delirio di Netanyahu e del suo governo: interrompere immediatamente il sostegno militare e la fornitura di armi a Israele da parte del loro principale alleato ossia gli Stati Uniti. Quanti morti civili si dovranno ancora contare prima che gli Usa la smettano con i deboli richiami alla “moderazione” e passino ai fatti?



CREDITI FOTO: Palestinians inspect the damage after an Israeli army raid on a camp at an area designated for displaced people in Rafah, southern Gaza Strip, 27 May 2024. EPA/HAITHAM IMAD