Morire di sfruttamento

Di fronte all'atroce morte di Satnam Singh sarebbe troppo facile limitarsi alla condanna della disumanità di chi non l'ha soccorso, come fa anche Meloni. Ma Satnam è morto per un sistema di sfruttamento di cui siamo tutti complici.

Cinzia Sciuto

Sarebbe troppo facile catalizzare la nostra indignazione per l‘atroce morte di Satnam Singh sulla disumanità con cui è stato scaricato davanti casa con il braccio mozzato dentro una cassetta della frutta. È certamente la reazione immediata e istintiva, preziosa anche perché ci dice che siamo capaci ancora di almeno un briciolo di umanità. Ma è una reazione anche comoda, perché ci consente di prendere le distanze morali da chi ha omesso così scandalosamente di soccorrere un uomo in fin di vita e di evitare di prenderci la responsabilità collettiva di quello che è accaduto.
Una reazione che diventa inaccettabile quando a esprimerla è la presidente del Consiglio, che in un tweet scrive: “Sono atti disumani che non appartengono al popolo italiano, e mi auguro che questa barbarie venga duramente punita”. La ricetta della destra al governo è sempre la medesima: che si tratti di femminicidi, di immigrazione irregolare, di morti sul lavoro, si evita accuratamente di indicare le cause strutturali del fenomeno e possibilmente di individuare strumenti efficaci per affrontarli in maniera radicale e si preferisce invece andare alla caccia all’uomo, invocando pene che devono ovviamente essere “esemplari” e magari evocando un (sempre inutile) inasprimento delle stesse.
Ma Satnam Singh non è morto (solo) per la agghiacciante disumanità del suo datore di lavoro che l’ha scaricato come una macchina rotta, è morto (soprattutto) stritolato da un sistema economico la cui origine non sta nelle campagne dell’Agro pontino in cui Singh ha perso la vita ma sugli scaffali dei nostri supermercati, e sulle nostre tavole. Come ha spiegato Fabio Ciconte su MicroMega+ “basta leggere le etichette per scoprire il prezzo dell’offerta promozionale del momento. Offerte eccezionali per noi clienti che ricadono per intero sulle spalle dei produttori. È vero: le origini, le forme e le dimensioni del caporalato hanno radici profonde, spesso ancorate a una cultura imprenditoriale che fatica a modernizzarsi, ma il mondo agricolo deve fare i conti con un prodotto che viene retribuito meno del dovuto”.
Naturalmente cercare di affrontare un sistema così complesso è non solo molto più difficile, ma anche molto meno conveniente in termini di consenso: i braccianti pagati due lire e sfruttati fino letterlamente alla morte sono nella stragrande maggioranza dei casi stranieri che non votano, e dunque non contano. Mentre gli imprenditori della filiera alimentare quelli sì che votano. Quindi prendiamo il mostro, mettiamolo alla gogna così che il popolo sia soddisfatto della punizione “esemplare”, e continuiamo allegramente a sfruttare e lasciar morire altri Satnam nei campi.

CREDITI FOTO: Il presidio della Cisl davanti la Prefettura di Latina per la morte del braccinate indiano Satnam Singh, 20 giugno 2024 ANSA / Stringer



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