Sidney Lumet, un secolo fa nasceva il grande regista

Il 25 giugno del 1924 nasceva il regista americano, premio Oscar alla carriera nel 2005. Ha diretto oltre 60 film e lavorato con grandi star tra cui Paul Newman, protagonista della pellicola "Il verdetto", il film che più di ogni altro ha consacrato Lumet come maestro del "courtroom drama".

Mario Sesti

Ho avuto il privilegio di consegnarli il premio Fellini a Rimini nel 2009, di condurre con lui una masterclass a Roma per Fondazione Cinema in una sala gremita, dove tra il pubblico si trovava anche Francesco Rosi (Lumet e lui erano molto amici): la sua risata contagiosa era la prima cosa che incontravi quando avevi la fortuna di incontrarlo.
Affermatosi con un prodigioso tour de force drammaturgico come La parola ai giurati – 12 giurati in una stanza per praticamente tutto il film – era un autore dall’occhio vigile e disincantato spesso al lavoro su una critica rivelatrice del mondo contemporaneo, come testimoniano titoli di grande successo come Serpico e Quinto potere. Aveva uno stile fatto di concentrazione e spettacolo, azione e dialogo, solidificatosi in più di 60 film. Il suo metodo di lavoro si basava soprattutto su un’attenzione ravvicinata all’interpretazione degli attori con i quali provava l’intero film, prima di girarlo, come si fa a teatro.Ho esordito in teatro in qualità di attore”, disse in una conversazione che ebbi con lui di fronte al pubblico all’Auditorium Parco della Musica a Roma, “la prova generale è indispensabile per approfondire questo aspetto: ci permette di familiarizzare, di instaurare una fiducia reciproca. Spesso mi viene fatto notare che ho lavorato con molti attori considerati ‘difficili’ e mi si chiede se sia stato difficile. La risposta è no. Più un attore è bravo, più vuole capire e approfondire ciò che sta facendo”.
Ma la sua vera specialità era il cosiddetto courtroom drama, il film processuale, a proposito del quale disse: “È una situazione ottimale: due parti in conflitto tra di loro che non devono essere cercate altrove e poi c’è il tema affascinante della giustizia, con tutti i suoi risvolti. Non so se vi sia mai capitato di far parte di una giuria popolare, è un’esperienza che consiglierei a tutti. A me è capitato cinque volte e vi assicuro che si tratta di qualcosa che tira fuori il meglio – o il peggio – di noi”. A mio parere, lo zenith in questo tipo di film l’ha raggiunto con Il verdetto: un film memorabile, con protagonista Paul Newman, che vale la pena rievocare. Frankie Galvin è un avvocato la cui carriera è stata stroncata da un brutto incidente di corruzione di un giurato di cui non è responsabile. Un caso di grave imperizia medica che ha condannato una donna partoriente in coma, intentato contro un ospedale legato a un’autorevole istituzione cattolica di Boston, lo riporta in tribunale. In questo dramma giudiziario dove ogni scena nell’aula di giustizia ha la tensione di un ring Newman ha contro: uno studio legale potente e privo di scrupoli guidato da James Mason, i parenti della vittima, l’arcivescovo di Boston, un giudice ostile e il proprio alcolismo (un nemico che Newman conosceva bene). Scritto dal miglior dialoghista e drammaturgo americano degli anni Ottanta, David Mamet, ha una messa in scena che incide nella memoria ogni angolo (il bar, lo studio, l’appartamento, l’aula del tribunale: persino un triste reparto di rianimazione) grazie soprattutto alla fotografia “alla Rembrandt” (come scrisse Jonathan Rosenbaum) di Andrej Bartkowiak che rende gli incarnati saturi, le ombre dense e ogni oggetto più concreto e grave. Sul volto di Newman aleggia nella prima parte una sorta di stupore ermetico, a un passo dall’orrore, ma quando decide come Davide di misurarsi con Golia il film si carica di una rassegna entusiasmante di emozioni senza soluzione di continuità: panico, ostinazione, rabbia, smarrimento, impotenza, sdegno. A più di 40 anni di distanza (il film è del 1982) Il verdetto non ha perso nulla della sua acutezza espressiva, drammatica e morale: una chimica davvero poco ordinaria su cui il miglior cinema di Lumet ha sempre potuto contare.

FOTO: Sidney Lumet con Marlon Brando sul set del film “Pelle di serpente”



Ti è piaciuto questo articolo?

Per continuare a offrirti contenuti di qualità MicroMega ha bisogno del tuo sostegno: DONA ORA.

Altri articoli di Mario Sesti

Ricordando il genio di Massimo Troisi troviamo ancora oggi spunti di riflessione per capire l'Italia dal punto di vista umano e sociale.

Il maggior pregio di Le mie poesie non cambieranno il mondo, il documentario di Annalena Benini e Francesco Piccolo, presentato alle Notti Veneziane della Giornate degli autori alla Mostra del Cinema – che sarà in sala dal 14 settembre – è, probabilmente, il fatto di aver puntato sulla voce di Patrizia Cavalli, la poetessa amata...

In ricordo della non-diva Mariangela Melato, che insieme alla Vitti è stata la più brava attrice italiana dopo la fine degli anni ’60.

Altri articoli di Cultura

In occasione della chiusura di Malta biennale art, i cui temi hanno riguardato il Mediterraneo, la femminilità nelle culture del sul del mondo, la pirateria, il post-colonialismo, con la curatela di Emma Mattei e Elisa Carollo Teresa Antignani è stata premiata per Deposizione 2024, opera pittorica esposta presso il Grand Master’s Palace nella sezione del...

“I confidenti”, di Charlotte Gneuss, è un romanzo potente sulla Ddr che cerca di fare i conti con il passato comunista della Germania.

In “L’età fragile” di Donatella Di Pietrantonio, edito da Einaudi, si parla della morte, quella più innaturale: l’omicidio.